Fruttificare io sento la mia forza
Rudolf Steiner, Calendario dell’anima 10-16 novembre
corroborarsi e conferirmi al mondo;
sento l’essere mio che si sustanzia,
per volgersi alla luce
entro la trama del destino umano.
La celebrazione delle feste nel corso dell’anno nella scuola Steiner-Waldorf ha un significato molto profondo: la festa ci ricorda che non esiste solo un mondo materiale fatto di quotidianità venali, di cose materiali e di individualità. Celebrare insieme le feste significa, non solo per i bambini, ricollegare la dimensione terrestre dell’uomo a un ritmo cosmico naturale, a un’immagine più ampia e soprasensibile del mondo, immagine sempre più lontana e dimenticata, esperienza sempre più difficile da fare al giorno d’oggi.
Le feste, così come le fiabe, ci aiutano a rientrare in questo mondo di cui comunque sappiamo, magari inconsciamente, di far parte. Infatti, anche da adulti frenetici e materialisti, quando ci capita di entrare nel clima della festa riconosciamo subito un’atmosfera “già nota”, che riemerge da ricordi d’infanzia o da chissà dove. Per questo è importante far sì che i bambini, fin dagli anni dell’asilo, possano vivere intensamente questi momenti: li ritroveranno da adulti, portandoli sempre con sé e trasformandoli in forze di crescita e di relazione sociale.
In questo periodo dell’anno le giornate si accorciano, l’oscurità avanza minacciosa, le foglie cadono e un senso di morte e di freddo pervade l’anima. L’anima non ha più in sé quella solarità estiva che le proveniva dalla natura. Deve dunque trovare una luce nuova, una luce che nasca da dentro. San Martino è tradizionalmente la festa di questa luce interiore, come spiega bene Claudia Gasparini in questo articolo.
Nella tradizione contadina l’11 novembre finiva l’anno agricolo, data della svinatura e inizio del periodo invernale, quando la terra accoglie nel suo grembo quei semi che daranno nuova vita nella primavera futura. Nel nord Italia in questo periodo si stipulavano i contratti d’affitto tra il proprietario del podere e il mezzadro. Se il proprietario rinnovava il contratto allora i contadini potevano festeggiare con i prodotti tipici di questo periodo dell’anno, diversamente erano costretti a traslocare, solitamente nei giorni più miti detti appunto “estate di San Martino”. Da qui nasce il modo di dire “fare San Martino”, divenuto poi d’uso consueto anche in città. Ne troviamo traccia in altri detti popolari che ancora resistono: “Oca, castagne e vino, tieni tutto per San Martino”, “A San Martino uccidi il maiale e bevi vino”, “A San Martino ogni mosto diventa vino”, “Chi no magna oca a San Martino no’l fa el beco de un quatrino”.
In asilo e nelle prime classi della scuola ci si prepara a questa festa qualche giorno prima, raccontando la storia di Martino, impastando e cuocendo il pane (con uvetta e mandorle) e costruendo lanterne, con materiali diversi a seconda dell’età. L’11 novembre, verso sera, la classe si ritrova in un parco, in un bosco o in un sentiero di campagna comunque poco illuminato e, insieme ai maestri e ai genitori, si compie una breve processione. Lungo il cammino si intonano canti dedicati a San Martino, alla luce fioca e calda delle lanterne. È solitamente buffo e nello stesso tempo tenero accorgersi come talvolta i bambini più spavaldi e temerari in classe una volta nel buio si trasformino in pecorelle timorose, magari presi per mano e incoraggiati da chi, più timido, in aula non esprime il meglio delle sue capacità di relazione.
Se dunque San Michele celebrava il coraggio individuale, San Martino esalta la luce interiore della carità e dell’empatia verso gli altri, rappresentando questi valori attraverso esempi e immagini potenti, immagini generatrici di forze che lavoreranno silenziosamente dentro i bambini negli anni a venire, plasmando il loro senso morale, portando salute non solo a se stessi ma anche alla comunità in cui vivranno.