Da una analisi portata avanti da Eurydice, una rete che studia e coordina i diversi sistemi scolastici nazionali presenti in Europa, emergono grandi differenze tra i diversi paese che la compongono, 27 dei quali appartenenti alla Unione Europea. Se partiamo dalla scuola dell’obbligo troviamo una prima grande differenza che non riguarda solo l’età dell’obbligo scolastico, che va dal 3 anni in Francia ai 7 anni in Croazia ed Estonia, ma anche dalla prima tappa scolare che rientra nell’obbligo. Ci troviamo così con diversi paesi che hanno inserito la scuola dell’obbligo nella fascia della prima infanzia, ma con un inserimento alla primaria prevalentemente intorno ai 6 anni. In Finlandia, il cui percorso scolastico è considerato una eccellenza nello scenario europeo, l’obbligo scolastico è a 6 anni, ma i bimbi vanno alla primaria a 7 anni.
Dalle indagini e raccolte dati portate avanti dal programma PISA, Programme for International Student Assesment, promosso dall’OCSE, Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico, emerge da anni che almeno l’ultimo anno della scuola dell’infanzia è fondamentale per affrontare con maggiore successo un percorso scolastico nella primaria ed anche oltre. Così abbiamo diversi paesi europei che hanno messo l’obbligo a 5 anni ma iniziano il percorso della primaria a 6 anni. In Germania per potere intraprendere la primaria i bambini debbono avere compiuto i 6 anni; quindi, bambini nati nello stesso anno solare, iniziano la scuola primaria in due diversi anni scolastici nel rispetto della loro data anagrafica.
Nell’Unione Europea è forte la consapevolezza della necessità di un rinnovamento della scuola, ed a tale scopo stanno erogando grosse somme, soprattutto agli enti locali che la organizzano ed amministrano. E’ giunto, quindi, il momento per chi la scuola la vive dal di dentro, la vive con i bambini ed i ragazzi, di portare un contributo ed un confronto, necessario aprire per condurre un sano rinnovamento.
La scuola Waldorf, fondata a Stoccarda da Rudolf Steiner nel 1919, è attiva da diversi decenni, soprattutto dal secondo dopoguerra, in tutto il mondo, in contesti di diverse culture, etnie e religioni. La forza che esprime nel superare barriere che, alla luce della economia, della politica e delle confessioni, appaiono insormontabili, le deriva dalla capacità espressa dal suo fondatore di creare una pedagogia al cui centro vengono messi i bambini ed i ragazzi intesi non come futuri cittadini di un singolo stato, ma come donne e uomini appartenenti a tutta l’umanità; è proprio dal presupposto di umanità, come patrimonio individuale e globale da salvaguardale, che si sviluppa il Piano di Studi Waldorf, dalla scuola dell’infanzia alle superiori. Per fare questo Steiner ha messo al centro dei suoi approfondimenti pedagogici la conoscenza della natura dell’essere umano, dell’uomo nel senso più completo e profondo come corpo, anima e spirito e delle tappe necessarie affinché le sue facoltà possano essere risvegliate quando sono mature. Da qui il termine di maturità scolare intesa come momento in cui si osserva che il singolo bambino è pronto per il passaggio dalla scuola dell’infanzia alla scuola primaria. Non una maturità decisa dalle disposizioni ministeriali ma vista come raggiungimento della relativa tappa di sviluppo da parte di ogni singolo bambino, questo indicativamente nel settimo anno di vita, ma mai prima.
È interessante riflettere da quali presupposti nasce la necessità di un rinnovamento dell’ordinamento scolastico: dalla sensazione che nella scuola ci siano delle cose che non vanno? Dal fatto che i bambini mostrino sempre maggiori difficoltà, che i bisogni educativi speciali siano in numero crescente? Oppure perché riteniamo che le esigenze del mondo, al di fuori della scuola, si stiano modificando e la scuola debba attrezzarsi per adeguarsi al mondo che cambia? Questa è una prima riflessione dalla quale non credo possiamo sottrarci. Nella prima ipotesi, dobbiamo capire dove e cosa stiamo sbagliando, guardare i bambini e capire cosa possiamo fare per riconoscerli nei loro bisogni. Nella seconda ipotesi, dobbiamo potenziare quello che stiamo in gran parte già facendo, osservare le attitudini che sono più funzionali al mondo del lavoro, sia da un punto di vista sociale che delle competenze, e rafforzarle.
Nel primo caso la scuola è al servizio dei bambini, nel secondo è al servizio del mercato. A questo riguardo consiglio una interessante ma anche impietosa analisi portata avanti da Joel Bakan, professore di diritto alla University of British Columbia, studioso di fama internazionale, nel testo edito in Italia dalla Feltrinelli con prefazione della sociologa Chiara Saraceno, Assalto all’infanzia.
Potremmo dire che la verità stia a metà strada, ovvero una scuola che aiuta i ragazzi ad inserirsi nel mondo del lavoro è anche al loro servizio, li aiuta a raggiungere degli obiettivi nella vita. Tuttavia questo, a mio avviso, ha un fondamento dalle superiori in poi, non vale quando si parla di bambini della scuola dell’infanzia, della primaria e ragazzini della secondaria di primo grado. Qui si evidenzia l’importanza di collegarsi con la conoscenza della natura dell’essere umano. Possiamo asserire senza tema di smentita che l’attività più importante che può fare un bambino della scuola dell’infanzia sia giocare. Parliamo in questo caso di un gioco creativo, non veicolato dalle tecnologie, in cui possono essere sviluppate competenze sociali, motorie e cognitive, dando alle bambine ed ai bambini una maggiore fiducia in se stessi, preparandoli al passaggio alla primaria. Friedrich Schiller, nelle Lettere sull’educazione estetica dell’uomo, con grande consapevolezza asseriva che il gioco è il lavoro del bambino. Nella pedagogia Waldorf, nel gioco libero, non strutturato, senza materiali escogitati, il bambino della scuola dell’infanzia esprime tutta la sua fantasia, la sua creatività, svela nell’imitazione quanto ha interiorizzato immergendosi empaticamente nel mondo che lo circonda. C’è qualcosa di universale nel gioco libero delle bambine e dei bambini e questa importantissima fase va vissuta fino in fondo, fino a quando iniziano a perdere interesse per questa modalità di gioco ed iniziano a cercare nell’adulto una autorevole fonte di insegnamento, non più solo attraverso il fare, ma anche nella relazione, nel dialogo.
Il bambino arriva al passaggio alla primaria sentendo nascere in sé il bisogno di un adulto che lo guidi verso nuovi apprendimenti.
Non dobbiamo temere che questo passaggio non si manifesti, arriva con grande regolarità con sensibili differenze tra le bambine ed i bambini. Questo lo possiamo sperimentare negli asili Waldorf in cui i bambini restano fino al raggiungimento della maturità per la primaria. A conclusione del percorso, quel mondo così ricco di stimoli che li aveva accompagnati nei più acrobatici e fantasiosi giochi fino a poche settimane prima, comincia a non bastare più. Guardano i bimbi più piccoli giocare e sperimentano un mondo dal quale loro si stanno allontanando. Allora il loro passaggio alla scuola è atteso, desiderato, verso il nuovo insegnante sperimentano una sorta di innamoramento. Le loro valige per partire per il lungo viaggio della scuola primaria e secondaria sono piene di esperienze legate al fare, alla fantasia, alla creatività e sulle quali potranno radicarsi e consolidarsi le nuove esperienze e conoscenze.
Jerome Bruner, una delle massime autorità scientifiche del nostro tempo nel campo dell’educazione, confrontandosi nel suo testo La cultura dell’educazione, nel capitolo “Sapere e fare” con gli studi portati avanti dalla psicologa del lavoro Sylvia Scribner, scrive:
“E’ addirittura possibile che Sylvia Scribner sia riuscita a farmi scoprire ancora una volta che le cose in apparenza più ovvie possono impedire di vedere alcuni dei più importanti segreti della vita. E il segreto naturalmente è che la mente è un’estensione delle mani e degli strumenti che si usano e delle attività alle quali li si applica”.
Il compito della scuola dell’infanzia nella pedagogia Waldorf è quello di dare una solida base a questo “fare” che feconda il sapere della prima infanzia. Nelle scuole dell’infanzia Wadorf ci sono tante attività guidate quali la pittura, la manipolazione, il disegno, il telaio, il ricamo, il feltro, l’euritmia, la maglia con le dita, ma resta centrale nelle nostre attività il gioco libero dove possano esprimersi massimamente la creatività individuale e la relazione sociale. Tutte queste attività hanno un elemento che le accomuna ed è che per affrontarle è necessario mettere in atto la volontà.
È la volontà la prima facoltà interiore che l’essere umano attiva per entrare nel mondo, per esplorarlo, sperimentarlo ed infine conoscerlo.
La “buona” volontà è inoltre espressione del mondo morale che è ancora così vivo nel bambino e va preservato e potenziato con un insegnamento che ne abbia coscienza. Per Zygmunt Bauman, che concepisce la vita come un’opera d’arte, la vita dell’essere umano deve essere dotata di volontà e libertà di scelta.
È la volontà che accompagna il bambino, con incrollabile fiducia, a tentare la posizione eretta verso l’anno di vita fino ad arrivare a camminare, è con altrettanta volontà che si avvicina alle prime sillabe, ad articolare le parole, a comporre le frasi. Stiamo però attenti ad accompagnare le conquiste dei nostri bambini con gioia ma a non trasformare le fasi di apprendimento in una corsa ad ostacoli a cui arrivare il prima possibile. Le aspettative non sono sempre delle buone consigliere. Rispettare i tempi di ogni bambino invece è una grande forza che lasciamo a loro disposizione. Questo è particolarmente importante nella prima infanzia. Creiamo le condizioni perché i bambini possano fare delle sane esperienze di gioco, legate al movimento, al fare, al creare e lasciamo che le loro facoltà maturino.
Nelle sezioni delle scuole dell’infanzia Wadorf i gruppi sono misti per età, una chiara e consapevole scelta pedagogica che offre una grande ricchezza nelle relazioni ed opportunità di gioco. Possiamo così sperimentare i passaggi nei quali cambiano le modalità di gioco nelle diverse età, con gli stessi materiali e con i compagni, da un giorno all’altro ed in modo diverso da bambino a bambino, anche se possiamo trovare degli elementi che li accomuna. Se fino ai tre o quattro anni preferiscono stare vicino alla maestra nelle attività che ricordano la vita della casa, oppure costruire piccoli mondi con panchine e sedie nei quali curare le bambole, travestirsi, preparare le pappe, sempre quindi attività che riproducono il loro vissuto domestico, dai quattro anni in poi cominciano a costruire giochi più grandi, utilizzando più materiali, diventando più precisi nelle loro realizzazioni. Lo stesso pezzetto di legno può diventare cento cose, non ci sono limiti alla loro fantasia. Tendono però a cambiare molto in fretta i giochi, una volta che hanno costruito una nave ben attrezzata sono attratti anche dai giochi costruiti dai compagni e passano ad un altro mondo. La loro fantasia è mossa principalmente dal loro agire e da ciò che si muove loro intorno, non tanto dalla rappresentazione che stentano ancora a farsi. Questa arriva dopo i cinque anni. Allora la costruzione è più complessa, nasce da un progetto, sanno cosa vogliono realizzare, improvvisano molto meno e tendono a ripetere la stessa costruzione per un certo periodo, spesso coinvolgendo anche i più piccoli in ruoli che sono loro ad assegnare. A volte riescono a coinvolgere tutta la classe. È importante mettere a loro disposizione materiali poco strutturati quali assi, tronchi, legnetti, panchine, sedie, tavoli, teli, cuscini, cinture, corde, borse, che possono trasformarsi in mille mondi ma anche bambole, culle, carrozzine, carretti, cavalli a dondolo, animali, palle. Straordinari sono i percorsi di equilibro che, grazie alle assi ed alle panchine riescono a costruire collegando sedie e tavoli. Dei veri toccasana per le loro forze di equilibrio e movimento. Nel settimo anno di vita, diversi mesi dopo il compimento dei sei anni, i bambini cominciano, anche durante il gioco libero, a seguire con grande interesse le attività che preparano le/ gli insegnanti, si offrono per collaborare, rafforzando le loro competenze ed ascoltando le indicazioni che ricevono. Ora sono pronti per la scuola, per avere i giusti tempi di concentrazione e la capacità di stare seduti.
Sempre dal testo di Bruner, rifacendosi a Francis Bacon e Lev Vygotskij, troviamo il riconoscimento che nello sviluppo umano la prassi precede il nomos. “L’abilità è un modo non è una “teoria” che informa l’azione. L’abilità è un modo di trattare le cose, non una derivazione della teoria…. La conoscenza aiuta solo quando scende nelle abitudini”.
Nella pedagogia Waldorf è proprio il corpo delle abitudini che viene massimamente curato nella prima infanzia. C’è tanta attenzione ai ritmi in cui viene scandita la giornata in asilo, ci si confronta con le famiglie per trovare dei buoni ritmi anche a casa, nei ritmi viene curato il respiro ed il senso della vita, anche questi a beneficio delle forze vitali che fecondano il mondo delle rappresentazioni. Sappiamo tutti che se riposiamo poco, abbiamo una vita stressata, le nostre facoltà cognitive si indeboliscono, questo è ancora più evidente nei bambini.
La neuropsichiatra e psicoterapeuta dell’infanzia e della adolescenza di Milano, la d.ssa Beatrice Dugandzija, parla, in un suo studio, di una neuroplasticità inattesa del cervello umano ed afferma quanto segue:
“L’utilizzo combinato della MRI (risonanza magnetica) strutturale e funzionale ci ha permesso di ottenere un’immagine molto più completa e dettagliata del cervello umano in tutte le fasi della vita. In questi anni si è scoperto che il cervello è incredibilmente plastico e in continua evoluzione. Contrariamente alla credenza comune del passato, che riteneva che lo sviluppo cerebrale fosse principalmente concentrato nei primi anni di vita, ora sappiamo che il cervello continua a modificarsi e ad adattarsi durante tutta la vita. La corteccia prefrontale è una regione affascinante del cervello […] Situata nella parte anteriore del cervello, proprio dietro la fronte, la corteccia prefrontale è proporzionalmente più grande negli esseri umani rispetto ad altre specie animali. Questa regione è coinvolta in una vasta gamma di funzioni cognitive superiori, come la pianificazione, la presa di decisioni, il controllo degli impulsi, l’interazione sociale e la consapevolezza di sé.”
Dovremmo seguire tutti con grande interesse lo sviluppo di questi studi, non solo perché ci portano risultati dati da nuovi strumenti di osservazione e di studio, ma anche perché ci raccontano di come agiscono gli stimoli sullo sviluppo del cervello e di conseguenza possiamo riflettere a quali sono le competenze che possiamo richiedere ai bambini in relazione alla loro età. Gli studi delle neuroscienze ci parlano dei sette anni come tappa in cui si sviluppano le abilità cognitive prefrontali quali la memoria di lavoro ed il controllo inibitorio. Queste rappresentano strumenti strategici adatti alle richieste che ricevono nel passaggio alla primaria, sia da un punto di vista cognitivo che emotivo. È molto importante preservare queste abilità perché sono strategiche anche per la lunga vita di studi che attende i nostri bambini e ragazzi, ai quali ogni genitore augura una carriera scolastica sempre più proiettata verso l’Università. Una lunga vita da studenti, spesso una adolescenza molto dilatata, con una infanzia sempre più compressa per potere entrare il prima possibile dentro questo lungo percorso e “non perdere tempo”.
Questa visione è molto miope, il mondo dell’infanzia vissuto fino in fondo è un ottimo trampolino di lancio per affrontare gli studi ma anche le prove e le emozioni della vita, un tempo rispettato, un giusto tempo. Sempre più ragazzi, senza problemi economici da parte delle famiglie, si chiudono nelle loro stanze e non vogliono più andare a scuola, né avere una vita sociale se non quella alimentata dai social. Questo fenomeno si chiama dispersione scolastica, sta preoccupando sempre più genitori ed educatori. Si sta pensando di inserire la figura dello psicologo nelle scuole e questo ha certamente un grosso valore, ma muoviamo i nostri pensieri anche verso la prevenzione. Come possiamo aiutare i nostri bambini ad entrare nella scuola al momento giusto, con le giuste forze, per sentirsi adeguati alle richieste che ricevono e non alimentare quei processi di mortificazione della propria autostima che sono così deleteri quando emergono nella adolescenza, ma anche prima?
Riflettiamo sul rispetto della maturità scolare anche come strumento per sostenere tutto il successivo percorso scolastico. Non è una sfida ma una richiesta di confronto.
Bibliografia
Bauman Zygmunt, L’arte della vita, Laterza 2009
Bakan Joel, Assalto all’infanzia, Feltrinelli 2012
Bruner Jerome, La cultura dell’educazione, Feltrinelli 2015